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Laver Cup 2019: il piacere (vero) di stare in gruppo

C’è chi la prende sul serio, chi la ritiene una pagliacciata nemmeno degna di uno sguardo o chi è ancora indeciso. Senza dubbio la Laver Cup, giunta ora alla terza edizione, è cresciuta in modo dirompente e ci sono tutti gli elementi perché diventi un grande classico.


Il tennis è uno sport duro, con un calendario fitto e lungo, anche solo seguirlo da spettatore con un minimo di costanza ti obbliga a un’esistenza parallela e sommersa incastrata nelle pieghe della tua vita normale, per cui ti affatichi e invecchi il doppio per semplice empatia con quei poveretti che rimbalzano senza costrutto da un capo all’altro del globo, grondando solitudine e disagio.

Certo, non si possono paragonare i top player agli altri invischiati nelle sabbie mobili dei challenger, costretti a fare i conti della serva per pagare un preparatore atletico, assediati dai problemi e dalle tentazioni malsane, ma qualche disagio psicologico nei protagonisti del circuito si manifesta a prescindere dalla ricchezza del palmares e dalla profondità del conto in banca. Insomma, tennis e psichiatria vanno a braccetto e questo rende tutto più affascinante – probabilmente non nutriremmo tanta folle passione per personaggi lineari ed equilibrati.

Perciò accettiamo che il giocatore più forte della storia ci trascini in un 14luglio8/7,40/15 che ci perseguiterà in eterno, oppure occhieggiamo uno dei talenti più puri che – tra un colpo di genio e l’altro – si butta via passando le partite a parlare da solo come un vecchio pazzo, interrompendosi talvolta per rivolgere insulti al giudice di sedia all’avversario o per scaraventare in campo qualche suppellettile o esibirsi in un bel gesto fallico; seguiamo con trasporto le vicende del nuovo dio greco che, pur scoppiando di talento, pare propenso alla caccia ai fantasmi; osserviamo con tenera partecipazione i dolori del giovane Zverev, afflitto da una voglia di autodistruzione degna di James Dean. Ora, l’elenco è potenzialmente infinito, ma chiudiamo in bellezza con il massimo esempio di efficacia sportiva, l’arcinemico Rafa Nadal: uno più matto di lui è difficile da trovare, con i suoi trecento tic e le sue bottigliette allineate perfettamente da vero ossessivo compulsivo. Dunque se li guardi bene e da vicino, sono tutti casi da studiare.

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Fedal a bordo campo

E sono soli, schiacciati da una pressione sovrumana, il sistema li vuole cattivi e individualisti, perché se cedono anche per un solo istante c’è uno dall’altra parte della rete pronto ad azzannarli alla giugulare.

Ecco uno dei motivi che rende la Laver Cup più unica che rara: si vede lontano un miglio il piacere che provano a stare in gruppo, la gioia di condividere, l’ebbrezza di esultare per il gesto di un compagno di squadra.

Il livello tecnico è stato notevole, lo spettacolo si è giovato di quel pizzico di leggerezza che porta a osare, nonché del coinvolgimento emotivo, della splendida cornice di pubblico, dei campi neri stilosissimi e di numerosi siparietti da non perdere, soprattutto le effusioni fedaliane – e peccato per il doppio saltato – perché quei due si vogliono bene davvero e, per quanto penosa possa essere la prospettiva di un raggiungimento a venti slam, bisogna ammettere che loro hanno compreso prima e meglio dei tifosi la natura del legame che li tiene insieme, rendendoli reciprocamente necessari – ciò detto, a scanso di equivoci, continuerò a tifare contro Nadal in qualsiasi altra occasione, a meno che dall’altro lato non ci sia Djokovic.  

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Roger esulta dopo la vittoria su John Isner

Ah, se qualcuno nutrisse dei dubbi sul valore agonistico dell’esibizione, si riveda l’esultanza di Roger dopo la vittoria su long John Isner – ma si può saltare così alla sua età? Fa male! – o l’ammucchiata finale del team Europa – lì devo ammettere che ho avuto un po’ paura che il re si facesse male nella bolgia.

La sensazione è che alcuni ragazzi di entrambe le squadre – Zverev per primo, ma anche Roger, Kyrgios e altri – si potranno giovare delle sensazioni vissute in questi tre giorni e forse ne trarranno una spinta per il finale di stagione (il biondo tedescone ne ha bisogno, perché con la pesante cambiale delle Atp Finals rischia di precipitare molto in basso in classifica).

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Zverev regala il trofeo al Team Europe

In tutto ciò si è intravisto un lampo di ciò che Roger potrà fare dopo – fuori dal campo: aggregare, coinvolgere, trasmettere. Non è poco, anche se la cosa più straordinaria rimane vederlo giocare.

Insomma, forse il 14luglio8/7,40/15 adesso è leggermente più lontano (ma solo di qualche millimetro). Non c’è stata la redenzione americana, ahimé, cancellata sul più bello da un altro psicodramma, con quella schiena maledetta che ha voluto metterci becco e un Dimitrov che non ti aspetti: no, niente lieto fine per l’estate 2019.

Però questa Laver Cup ha dato una scossa e ha riportato il sorriso e poi, come dicono i vecchi saggi, vincere non fa mai male, che si tratti di uno slam, di un’amichevole, di una briscola in famiglia o di una sfida alla bocciofila.


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