Una demivolèe di Federer che muore appena dopo il nastro ed il profumo dell’erba di un campo da tennis sono due essenze da assaporare assolutamente insieme. Un’esperienza sensoriale unica, che deve essere sperimentata almeno una volta nella vita.
Finalmente ci siamo.
Da un anno aspettavamo questo momento. Da un anno il nostro pensiero era proiettato qui, all’inizio della stagione più bella del tennis. Quel periodo in cui il bianco si fonde nel verde, dove il tempo sembra fermarsi e la memoria corre indietro fino ad arrivare agli albori di questo sport, quando uomini e donne incamiciate giocavano con pantaloni e gonne lunghe rigorosamente fino alle caviglie.
È in quest’atmosfera rarefatta di perfezione che tutto prende un altro sapore.

Chi ha avuto la fortuna di assistere ad un match, o addirittura di giocare, su questa superficie sa di cosa stiamo parlando. Varcare la soglia di un campo da tennis lasciandosi avvolgere dal profumo dell’erba tagliata impeccabilmente a 8 millimetri, ti catapulta subito in un’altra dimensione.
E poi… il suono ovattato della pallina che salta su un tappeto verde maniacalmente curato, il serve & volley, il gesso che si fa nuvola, i rimbalzi irregolari…
È su questi campi che la potenza fisica, la resistenza e la regolarità cedono finalmente il passo all’estro creativo, alla visione, al Genio.
E non siamo noi, invero, tutti innamorati di questo sport proprio per questo? Perché – come scriveva David Foster Wallace nel suo saggio Federer come esperienza religiosa – in esso ci deve essere qualcosa di più che mera forza ed atletismo?
“Il genio non è riproducibile. L’ispirazione, però, è contagiosa, e multiforme, e anche soltanto vedere, da vicino, la potenza e l’aggressività resi vulnerabili dalla bellezza significa sentirsi ispirati e (in un modo fugace, mortale) riconciliati.”

Ed è proprio in questo mondo di fugace ispirazione che il Divino può trascendere la perfezione e prendere la sua forma terrena.
Una demivolèe di Federer che muore appena dopo il nastro, un suo slice di rovescio che schizza via basso o il morbido tocco in controbalzo dalla linea di fondo sono lampi eterei che assaporati sull’erba paiono poter fermare il tempo, tramutando un gesto tecnico in un vero «Momento» di esperienza religiosa.
“Quasi tutti gli amanti del tennis che seguono il circuito maschile in televisione hanno avuto, negli ultimi anni, quelli che si potrebbero definire «Momenti Federer». Certe volte, guardando il giovane svizzero giocare, spalanchi la bocca, strabuzzi gli occhi e ti lasci sfuggire versi che spingono tua moglie ad accorrere da un’altra stanza per controllare se stai bene […].”

Federer e l’erba sono due essenze che si completano. Due facce della stessa medaglia. Vedere da vicino come quella sua innata commistione di classe e potenza, di forza ed eleganza, di quiete e tempesta prenda vita sul manto erboso e, danzando, ci riporti indietro ai gesti bianchi del tennis, è un’esperienza sensoriale unica, da assaporare attentamente, almeno una volta nella vita.
Per fortuna, quel momento sta arrivando.
Di nuovo.
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