Nell’archiviare la settimana romana, stendendo un velo pietoso sui disastri organizzativi e il relativo corredo di dichiarazioni inascoltabili, possiamo trarre una sola conclusione, amaramente ripetitiva: l’uomo da battere è sempre lui, l’imperatore indiscusso del mattone tritato.
Era ancora a secco di trofei nel 2019, ma soprattutto aveva stentato – per i suoi standard – sulla terra, raccogliendo soltanto tre semifinali laddove usualmente faceva strage di titoli. Aveva persino ammesso di sentirsi frustrato per l’inefficacia del proprio dritto, ma alla fine ha trovato la quadra. Nella settimana delle polemiche, Rafa ha rullato chiunque provasse a sbarrargli la strada (64 game vinti e 22 concessi in cinque partite, quattro bagel e due 6-1 in 11 set giocati) e onestamente è difficile anche solo immaginare chi possa dargli fastidio al meglio dei cinque set.
Così, come nel giorno della marmotta, anche nel 2019 ci svegliamo all’alba del Roland Garros con la radio che ripete le stesse parole: AAA avversari cercasi per il mancino di Manacor.
Naturalmente l’indiziato numero uno per giocarsi la finale è Nole Djokovic che, come aveva promesso, ha ritrovato la condizione in vista dello slam. Ha lasciato per strada qualche set, ha sofferto in alcune circostanze ma a tratti è sembrato di nuovo il cyborg di qualche anno fa. Può non piacere – non piace – però ha dimostrato una volta di più che darlo per morto non è una buona opzione.

E gli altri? Partendo dalla considerazione che con ogni probabilità, chiunque voglia candidarsi sul serio, deve essere in grado di strappare tre set sia a Nole sia a Rafa in rapida successione, il che restringe inevitabilmente la rosa – dopotutto parliamo di esseri umani -, vediamo un po’ come vanno sul listino di Parigi i titoli più quotati.
Dominic Thiem rimane il più accreditato per dare fastidio. La precoce eliminazione romana ha troppe attenuanti (condivise da molti, perciò non chiamiamole scuse) per essere considerata un vero campanello d’allarme, inoltre potrebbe concedergli un po’ di riposo in più, ma l’incognita su di lui in ottica slam è sempre la stessa: può battere chiunque in una gara secca, ma deve riuscire a ripetersi sui massimi livelli con maggiore continuità se vuole alzare il trofeo.
Poi c’è Tsitsipas. Sta crescendo in fretta, ha un’identità precisa, sa vincere e ha già battuto tutti i big three. A livello di slam ha raggiunto la semifinale a Melbourne, il miglior risultato finora di un next gen. Nadal lo ha preso a pallate in semifinale a Roma, ma il greco è uno che impara e si evolve. Ha problemi simili a quelli di Roger nell’affrontare sulla terra quelli che si difendono bene, ma ha anche un bel numero di soluzioni, malgrado la giovane età.
Merita una menzione il piccolo Diego Schwartman, semifinalista a Roma e soprattutto l’unico a mettere in leggera difficoltà Nadal lo scorso anno a Parigi nei quarti di finale (in vantaggio di un set – il solo perso da Rafa in tutto il torneo – e un break prima dell’interruzione per pioggia). Non sembrava una grande stagione per lui, tante eliminazioni precoci dopo la finale di Buenos Aires persa da Cecchinato, poi è arrivata la semifinale romana, lottata alla grande contro il numero uno al mondo. Vedremo cosa combinerà in terra francese.

Anche Del Potro ha fatto un’ottima figura nella capitale italiana. Dopo un buon 2018 terminato malamente con la rottura della rotula, la torre di Tandil era rientrato in febbraio a Delray Beach, ma poi era rimasto ai box fino al master 1000 di Madrid, dove ha patito l’eliminazione all’esordio con Laszlo Djere. A Roma ha battuto Goffin e Casper Ruud prima di arrendersi ai quarti di finale con Djokovic, nonostante i due match point a favore. Le riserve sull’argentino, semifinalista della scorsa edizione, riguardano la tenuta fisica in un torneo così lungo, ma senza dubbio può rappresentare una bella gatta da pelare per chi lo dovesse incontrare nei quarti o giù di lì.
Molti, fra gli altri, hanno deciso di giocare anche questa settimana in cerca di condizione e di fiducia. Su tutti Alexander Zverev, nell’ultimo periodo troppo brutto per essere vero, la testa ingombra di problemi extratennistici, ma anche Dimitrov, Tsonga, poi Wawrinka, che il trofeo parigino l’ha alzato nel 2015 e che ha dato segni di vita soprattutto a Madrid prima di essere spazzato da Nadal nei quarti. Qualcosa di buono l’ha mostrato Nick Kyrgios, ma poi ha perso la testa per l’ennesima volta: nel caso la ritrovasse potrebbe rivelarsi una scheggia impazzita (sic) nei primi turni.
Gli azzurri sono reduci da una sfortunata campagna casalinga e puntano su Matteo Berrettini oltre al solito Fognini, alle prese con problemi fisici, e all’eroico semifinalista dell’anno scorso, Marco Cecchinato.

E Roger?
In tutto questo, che dire di Federer? Le aspettative su di lui, pur mascherate di realismo o velate di scaramanzia, sono sempre alte, ma a Parigi sarà a nostro avviso un vero outsider. C’è il gioco e c’è la testa, ma di contro ci sono dubbi sulla tenuta in cinque set terrosi e sull’entità dell’infortunio romano (l’ipotesi più accreditata è che si sia trattato di un forfait precauzionale e molto prudente, ma è sempre difficile avere informazioni sulle sue condizioni: quando gioca con problemi fisici tende a non farlo sapere, un po’ per questione di stile e un po’ per non dare vantaggi agli avversari).
È vero, a Parigi ha vinto soltanto nel 2009, però, tolto il grande dittatore maiorchino con i suoi undici trionfi, solo Djokovic e Wawrinka sono stati in grado di alzare una volta quella coppa inoltre, fino a prova contraria, nessuno nella storia sa meglio di lui come si vince uno slam.
Si gioca nella casa – anzi nella reggia – di Nadal, il che significa meno pressione per tutti gli altri.
Roger non parte favorito, questo è sicuro, ma potrà recitare il ruolo inedito della mina vagante e di certo, al momento del sorteggio, chi lo vedrà lontano da sé nel tabellone potrà tirare un sospiro di sollievo. A proposito di tabellone, il percorso giocherà un ruolo fondamentale. Le reali possibilità di fare una bella figura (diciamo dai quarti di finale in avanti) dipendono molto dal dispendio energetico che richiesto dai primi turni.
La parola d’ordine sarà serenità, anche se già lo sappiamo che al momento buono soffriremo le pene dell’inferno.
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