Dopo la tappa al Country Club del Principato di Monaco, il circus del tennis si appresta ad approdare alla “Caja Magica” di Madrid per il quarto Masters 1000 della stagione. Nonostante magliette e scarpe siano “sporche” da diverse settimane, un po’ tutti, addetti e non, aspettano il torneo nella capitale spagnola per il ritorno sul rosso di Roger Federer. Diversi sono gli spunti tecnici e la domanda sorge spontanea: scelta giusta o azzardata?
Roger Federer non disputa un match sul rosso dagli ormai lontani Internazionali d’Italia del 2016 e, dopo tre anni di assenza, ha scelto il torneo di Madrid per fare il suo rientro in vista del Roland Garros.
Il Maestro, che nel mese di agosto compirà 38 anni, conosce meglio di chiunque altro il proprio corpo e le proprie esigenze psicofisiche. Nel corso di questi vent’anni di carriera, ha imparato a gestirsi e, a volte, a centellinarsi. Andiamo dunque ad analizzare in questo articolo le ragioni, i vantaggi e gli svantaggi che possono derivare da tale scelta, cercando di evidenziare i motivi che possono spingere a condividerla o meno.
In primis, c’è un discorso legato alla preparazione: la questione è molto semplice, all’età di Roger e con un Open di Francia in saccoccia, un ritorno sul rosso non rischia di compromettere lo swing su erba?
Come dicevamo, Roger, nel corso di una irripetibile e longeva carriera, è sempre stato maestro nella prevenzione degli infortuni e nella cura del proprio corpo. Tale aspetto, ora, diventa ancor più importante. Una corretta preparazione psicofisica ed un adeguato riposo sono indispensabili per far sì che il fenomeno svizzero possa esprimersi al meglio. A conferma di ciò, nel biennio post 2016, i migliori risultati negli Slam sono arrivati dopo periodi di riposo e preparazione piuttosto prolungati (il naturale periodo di off season prima dello slam australiano con conseguente doppietta 17/18, e i tre mesi abbondanti per preparare Wimbledon saltando l’intera stagione sul rosso). Al contrario, quando ha avuto meno tempo per prepararsi, per esempio agli Us Open, il rendimento è stato spesso deficitario (vedi le sconfitte piuttosto clamorose come quella con Millman). Sembrerebbe dunque, risultati alla mano, che un’adeguata preparazione sia fondamentale per permettergli di vincere tornei di alto rango.

Dall’altro lato non si può dimenticare l’enorme esperienza di Roger e del suo staff.
In una recente intervista rilasciata al quotidiano svizzero “Blick”, Pierre Paganini, storico preparatore di Federer, ha sottolineato come sul rosso non ci siano maggiori rischi rispetto alle altre superfici. La terra battuta non implica una maggiore erosione del corpo, vengono solo sollecitate maggiormente parti del corpo diverse rispetto alle superfici rapide, come quadricipiti e adduttori, avendo però un minore sforzo per altre, come la zona lombare particolarmente sollecitata sull’erba. Inoltre, Paganini ha rimarcato l’incredibile entusiasmo mostrato da Roger per il ritorno su rosso, ben sintetizzato da tale dichiarazione “si allena come un bambino in attesa della sua prima gita scolastica, è folle!”. Questo ci fa comprendere come questo rientro non pregiudicherebbe la forma fisica generale di Federer, comportando solo la necessità di una preparazione mirata e specifica. Ma soprattutto ci indica come il Maestro ami il proprio lavoro e quanto la sua passione per lo “sport del diavolo” sia il segreto dietro la sua straordinaria longevità. Se il ritorno sul mattone tritato serve a mantenere vivo tale fuoco ben venga.
Altro discorso è quello puramente tecnico: Roger gioca ancora perché sente di poter vincere tornei importanti, ma ha il gioco per competere per i più grandi palcoscenici anche su terra battuta?
Federer, dopo i problemi alla schiena del 2013 ed il conseguente arrivo sulla sua panchina di Stefan Edberg, ha radicalmente cambiato il suo modo di stare in campo, modus confermato e perfezionato sotto la guida di Ljubicic. Oggi l’elvetico ha affinato un gioco puramente d’attacco fatto di discese a rete, anticipo esasperato, piedi piantati sulla linea di fondo e continue verticalizzazioni volte ad abbreviare gli scambi. Tale gioco è sicuramente più adatto alle superfici rapide e non certo alla terra, dove la lentezza dei campi comporta inevitabilmente un prolungamento degli scambi penalizzando gli attaccanti puri. Il gioco dello svizzero non sembra più congeniale alla superficie, ma possiamo mai considerare il più grande tennista di tutti i tempi non competitivo su terra battuta? Spesso ci si dimentica che Roger si è formato su terra battuta, che non è solo un formidabile attaccante ma anche un solido difensore e che in carriera, sul rosso, ha vinto un Roland Garros e, più in generale, 11 titoli (su 101) giocando nella stessa epoca del più forte di tutti su questa superficie. Come si può considerare dunque non competitivo su terra un giocatore che ha disputato cinque finali all’Open di Francia? Se trova la quadra nel suo gioco e non ha problemi di carattere fisico può giocarsela con chiunque anche contro la sua nemesi, che peraltro non sembra più imbattibile. Pertanto, why not?

Ultimo aspetto, se vogliamo di minore importanza, è quello legato al ranking. All’età di Roger avere una buona testa di serie e dei primi turni, soprattutto nei tornei dello Slam, relativamente agevoli è fondamentale sia per entrare in “palla”, sia per non sprecare energie preziose per le fasi cruciali dei tornei. La partecipazione allo swing sul rosso, in tale ottica, potrebbe essere fondamentale per raccogliere punti preziosi, dato che lo svizzero non ha nulla da difendere. Tutto ciò che raccoglierà sarà dunque “grasso che cola” e potrebbe risultare decisivo per agguantare un’ottima testa di serie sia a Wimbledon sia agli US Open. Pensando poi ad un finale romantico, ma non utopistico, lo svizzero si trova solo ad una manciata di punti dal primo posto nella Race to London dopo circa un terzo di stagione, potendo cullare legittimamente con un rendimento costante nell’arco della stagione, l’idea di raggiungere la vetta del ranking.
In conclusione, se Roger ha deciso di giocare lo swing sul rosso vuol dire che non ha paura di pregiudicare Wimbledon e, soprattutto, che sente di poter fare bene a Parigi. Ma la cosa più importante è che la sua sconfinata passione per il nostro sport lo porta a mettersi ancora una volta in gioco.
La sfida è ardua, forse proibitiva, ma il fenomeno svizzero nel corso della sua carriera ci ha abituato ad alzare costantemente l’asticella e a spingersi sempre oltre rispetto alle più ottimistiche prospettive…
E voi cosa ne pensate? CLAY O NO CLAY?
Niko Calabrese, studente di giurisprudenza all’università di Salerno. Grande appassionato del gioco.
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