Federer potrebbe non essere ancora pronto a rivedere i suoi programmi a lungo termine e a dichiarare di voler giocare fino alle Olimpiadi di Tokyo del 2020. Ma chi dice che non può farlo?
Abbiamo dunque scoperto che Rio de Janeiro non era la destinazione finale del lungo percorso di Roger Federer. A detta di molti, le prossime Olimpiadi sarebbero dovute essere lo scenario in cui il più grande campione di tutti i tempi, ormai 35enne, era destinato ad uscire di scena in un tripudio di gloria, oppure giù in una spirale fallimentare.
Quella di Rio invece è diventata solo un’altra stazione che il FedExpress attraverserà senza sostare, proseguendo il suo viaggio unico nel tennis, puntando verso un capolinea ancora sconosciuto. O almeno questo è quello che è emerso dal tono del messaggio pubblicato martedì scorso dallo svizzero, con il quale ha dichiarato di dover saltare le Olimpiadi e quello che resta della stagione 2016, lasciando sbigottiti milioni di tifosi.
“I medici mi hanno suggerito che se voglio giocare nel circuito ATP ancora per qualche anno senza infortuni, come ho intenzione di fare, devo dare al mio ginocchio e al mio corpo il tempo giusto per recuperare completamente”, ha scritto Federer sulla sua pagina Facebook.
Da notare il riferimento a “qualche altro anno”, e l’enfasi aggiunta subito dopo sulle sue intenzioni.
Federer potrebbe non essere ancora pronto a rivedere i suoi programmi e a dichiarare di voler giocare fino alle Olimpiadi di Tokyo del 2020. Ma chi dice che non può farlo?
La decisione di prendersi il resto dell’anno per recuperare, invece di organizzare un tour di addio, la dice lunga sulla sua voglia di rientrare. Implica un impegno a lungo termine. Roger vuole rafforzare definitivamente quel ginocchio sinistro prendendosi un periodo di cinque mesi, presumibilmente perché sente che c’è ancora molto lavoro da fare.
Già nel 2012, quando Federer dichiarò di voler giocare sul circuito ATP almeno fino ai Giochi di Rio, furono in molti a ridere dei suoi piani. Certo, era pur sempre un 17 volte campione Slam – il più vincente della storia – ma era già un ultra 30enne, pressato su tutti i lati da tennisti ben più giovani, come Novak Djokovic e Andy Murray. Molti erano convinti che non ce l’avrebbe fatta.
Ma Roger ha resistito. È vero, l’ultima vittoria Slam risale ancora a Wimbledon di quattro anni fa. E a quella conquista fece poi seguito, qualche settimana dopo, proprio sullo stesso Centre Court, la dolorosa sconfitta olimpica in finale con Murray. Ma fu proprio quel fallimento che contribuì a cristallizzare la determinazione di Federer, facendolo andare avanti con l’obiettivo di conquistare la medaglia d’oro di Rio.
Infatti, se da una parte l’oro in singolare rimane l’unico tassello mancante nel curriculum dello svizzero, dall’altra è stato anche fonte di combustibile motivazionale. Dopo il loro scontro olimpico, Roger ha vinto sei delle otto partite disputate contro Murray. Nel 2015, un Federer in buona salute ha potuto vantare un rispettabile 3-5 contro un Djokovic che stava disputando la sua migliore stagione di sempre. Il Re stava viaggiando a gonfie vele verso l’appuntamento col Brasile.
Invece ci fu il crack. Alla fine di gennaio di quest’anno, Roger sentì una fitta di dolore al ginocchio sinistro mentre preparava il bagnetto per le figlie. Costretto per la prima volta in carriera a doversi sottoporre ad un intervento chirurgico, seguì una riabilitazione frettolosa e perse tempo. Se solo avesse insegnato alle gemelle a fare la doccia, probabilmente Federer si sarebbe presentato a Rio con un seeding ancora più alto di quello attuale.
Ora invece, l’unico frutto di un’eccellenza durata quattro anni è purtroppo una cocente delusione. Ma è ben lontano dal significare la fine di qualcosa.
La recente caduta di Federer durante la semifinale persa contro Raonic per alcuni è parsa simbolica. Non è capitato spesso di vedere il Re a terra. Ma forse non è stato il Tempo a mandare un segnale allo svizzero ricordandogli della sua mortalità. Forse è stato il ginocchio a inviare quell’avvertimento, ammonendolo per un rientro un po’ troppo affrettato.
“È abbastanza incredibile vedere i progressi che sono stato in grado di fare in un così breve periodo”, aveva detto Federer verso la fine di marzo, circa sette settimane dopo il suo intervento. Qualche giorno fa invece, un Roger misurato scriveva più filosoficamente: “Il lato positivo è che questa esperienza mi ha fatto capire quanto fortunato sono stato in tutta la mia carriera ad avere pochissimi infortuni”.
Una cosa che abbiamo imparato nel corso degli anni è che non si può prevedere la longevità dei giocatori. Difficile dire chi ne sia più dotato di altri. Ma nonostante questa battuta d’arresto, il corpo di Federer sembra essere costruito per un percorso ancora più a lungo raggio. Sembra come se il destino gli avesse negato di tirare il colpo finale, come se gli abbia voluto riservare un progetto più grande di sole due settimane a Rio. Neanche gli dei del tennis erano pronti a vederlo raggiungere il capolinea.
“Sono motivato come non mai e ho in programma di impiegare tutte le mie energie per tornare forte, sano e in forma per giocare un tennis d’attacco nel 2017”, ha confermato Roger.
Bello che Federer abbia scelto di evidenziare le parole “tennis d’attacco”. È come se stesse dicendo a tutti: “il prossimo anno non aspettatevi di vedere un vecchietto di 35 anni che giochicchia zoppicando e che spara le palline in tribuna”. Gli avversari sono avvisati.
Preparate poster e manifesti: Tokyo, 2020.
Fonte: espn.go.com
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